Rieccolo il liberticida ddl diffamazione

Di Romano Bartoloni

Entro il mese tappa in aula alla Camera dell’andirivieni della pasticciata riforma sulla diffamazione in pista da decenni sotto le pi? diverse spoglie. Con lo specchietto per l’allodole dell’abolizione del carcere (peraltro, nella storia repubblicana si contano sulle dite della mani i giornalisti che sono finiti in galera per davvero), ci vogliono far ingoiare il rospo di un progetto che era e rimane liberticida e si presenta con cipiglio intimidatorio. Nella terapia contro il giornalismo senza peli sulla lingua, spiccano le pillole della rettifica a scatola chiusa anche se fasulla, della sostanziale impunit? per le querele pretestuose e temerarie, delle sanzioni/multe salate fino a 50mila euro per scoraggiare il giornalismo d’inchiesta e anti-veline. Nonostante sia nell’occhio del ciclone di un’esasperata opinione pubblica, la casta difende a denti stretti prerogative e privacy nell’illusione di poter coprire collusioni e perversi intrecci con il malaffare. Nel sindacato distratto da altri grattacapi (disoccupazione, precariato, crisi dell’Inpgi), ristagna l’onda della indignazione contro il censorio ddl, pare dimenticata e sottovalutata la diffusa suggestione nel sistema dei poteri di disciplinare la scala dei valori delle notizie di interesse pubblico e di selezionare gli eventi da destinare o non destinare in pasto ai sudditi. Mentre si vorrebbe rimpolpare il ddl anche con il giro di vite sulla pubblicazione delle intercettazioni, che stanno scoprendo un mondo di scandali e di corruzione, si cerca di mettere la sordina sule opinioni anche autorevoli del diritto della democrazia a vedere il re nudo, perché la rilevanza dei fatti non ? solo giuridica, ma anche politica, sociale ed etica. Tra gli altri, l’ex garante Stefano Rodot? ritiene, da anni, che l’asticella della riservatezza deve essere pi? bassa per i politici, nel senso che essi “hanno una pi? ridotta aspettativa di privacy”. Il prof. Carlo Federico Grosso, penalista e ordinario di diritto penale, sostiene che “i fatti privati di quanti ricevono il consenso della gente devono essere conosciuti. Sapere chi frequenta e come vive chi ho votato ? un mio diritto”. Le cronache sul potere costituiscono un osservatorio sul funzionamento dello Stato e svelano i meccanismi del rispetto delle leggi e delle regole. Impedirle diventa censura e un atto incostituzionale contro l’art. 21 sulla libert? di stampa, secondo la valutazione del Consiglio superiore della magistratura. In proposito, ? stata perentoria la presa di posizione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel riaffermare “il diritto dei media di pubblicare informazioni negative o critiche sui politici e sui rappresentanti delle istituzioni”, e di fornire anche informazioni sulla sfera privata “in quanto gettano luce sulle modalit? con cui tali figure pubbliche svolgono le funzioni alle quali sono chiamate”. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha sentenziato che “la libert? di stampa prevale sulla riservatezza”. L’Italia rimane, tuttavia, uno dei pochi Paesi dell’Occidente che difende con ostinazione la privacy degli uomini pubblici, negli Stati Uniti, e non solo, satira e stampa formano un vero e proprio quarto potere che mettono alla berlina i politici, con tutte le armi gossip compreso. Appare evidente che tra le pieghe di una pretesa riforma della diffamazione, cos? come impostata, si intende salvaguardare i privilegi della casta con una sorta di salvacondotto. Quando sarebbe pi? comprensibile escludere dalla disciplina del ddl gli atti riguardanti le cariche elettive di ogni livello e gli amministratori di societ? pubbliche o a partecipazione statale. I politici, gli amministratori e i personaggi pubblici, i potenti comunque, non possono invocare le ragioni della privacy come gli altri cittadini, perché devono garantire di essere irreprensibili in ogni situazione, 24 ore su 24; perché chi chiede la fiducia degli altri, chi decide sui nostri risparmi, sulla nostra salute, di fatto sulla nostra vita, si assume il dovere di essere d’esempio, di mettersi sotto la lente dell’opinione pubblica non soltanto quando gli torna comodo per la sua parte politica e per la sua carriera. Interpretando a proprio uso e misura la causa della privacy, il potere ha imparato a gestire il gossip e il sensazionalismo per raccogliere simpatie e solidariet? a buon mercato, raccontando di sé stesso sentimenti, storielle, delusioni, desideri, fobie, smancerie pettegolezzi. Viceversa, “Lor Signori” si scandalizzano, si stracciano le vesti, gridano all’untore, quando i soliti ficcanaso, i cronisti, scoprono altarini e marachelle che incrinano dirittura morale e senso dello Stato, o pi? semplicemente li innalzano alla ribalta per vizi o false virt?. Se un sostenitore di spicco della politica per la famiglia, mette le corna alla moglie, il tradimento non diventa giocoforza un affare pubblico? Se una parlamentare abortista abortisse, non si griderebbe allo scandalo? Se un politico xenofobo permettesse nella sua azienda collaboratori clandestini, non finirebbe nell’occhio del ciclone? La violazione della legge e delle regole di buona condotta amministrativa ? questione di competenza della giustizia, ma il comportamento morale pesa nel giudizio dell’opinione pubblica che dovrebbe essere l’ago della bilancia di ogni democrazia. Se la comunicazione si ? trasformata in uno dei motori dei tempi moderni, la persona pubblica dovrebbe avere il coraggio civile di saper vivere come se fosse, minuto dopo minuto, sotto gli occhi della telecamera nella casa del Grande Fratello.

RB

11/06/15

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