Miss Roma 1911

Erika, Marika, Ilary, i nomi delle miss di silhouette longilinea dell’Italia di oggi. Gina, Silvana, Sofia, le miss maggiorate del primo dopoguerra.  Palmira, Cesira Aurelia, le illibate fanciulle reginette della Roma liberty del primo Sindaco laico di Roma, Nathan. Proclamate belle di Roma nel 1911, giusto 100 anni fa, sono state le prime protagoniste in assoluto di un concorso di bellezza, la cui originale formula è stata emulata fino ai nostri giorni: la selezione attraverso il voto dei rioni e nel 1946, ristabilita la normalità postbellica in Italia, attraverso le indicazioni regionali. Un secolo fa vinse la trasteverina Palmira Ceccano, appena diciassettenne, e la cui vita si è intrecciata con le vicende storiche della famiglia Amendola: sposò l’anno dopo uno dei giurati del concorso, il pittore Salvatore Mario fratello di Giovanni, il parlamentare bastonato a morte dai fascisti.

Il concorso del 1911, promosso e organizzato dal neonato Sindacato cronisti di Roma su un’idea del sodale Edoardo Pompei, critico teatrale de “Il Messaggero”, diventò senza volerlo il fiore all’occhiello delle celebrazioni per il Cinquantenario del Regno di Italia, peraltro partite nell’indifferenza generale. Nulla di nuovo sotto il sole! Se oggi stentano ad entrare nel cuore della gente, un secolo fa, nonostante la quantità di eventi e la molteplicità di iniziative, non riuscivano a decollare, vuoi per le divisioni campanilistiche, vuoi per l’accesso clima di contrasto tra guelfi e ghibellini, vuoi per la scarsa adesione culturale verso i valori del Risorgimento, e per pregiudizi e sospetti nei confronti dei padri fondatori. Non solo critico il fronte interno, ma piovvero contestazioni e calunnie dalla stampa estera probabilmente dietro il pretesto della spedizione italiana in Libia non gradita alle cancellerie europee. I giornali americani diffusero notizie allarmanti sulle condizioni igieniche di Roma, sparando a titoli di scatola che era scoppiata un’epidemia di colera. Con le informazioni, prive di fondamento, “apparvero delle fotografie di colerosi morti, abbandonati per le piazze e le strade di Roma, colerosi che erano invece operai stesi indolentemente – come era antipatico costume di allora – durante le pause di lavoro, per riposarsi con quell’abbandono che può nascere soltanto dal solleone”, così si legge a pagina 27 della “Monografia storia del Sindacato cronisti”, 121 pagine battute con la macchina per scrivere su fogli di carta velina, e riemersa dagli archivi dell’associazione in occasione delle manifestazioni per il centenario, 1910/2010.

Eppure, il 1911 segnò una tappa importante nella crescita urbanistica e culturale della capitale. Il 4 giugno, il sovrano Vittorio Emanuele III inaugurò l’Altare della Patria, l’imponente monumento dedicato al nonno Vittorio Emanuele II ad opera dell’architetto Giuseppe Sacconi, e terminato dopo un quarto di secolo di lavori. Si costruirono i primi villini nel nascente quartiere Prati al di là del Tevere. Si realizzarono opere durature come la Galleria d’arte moderna a Valla Giulia, il museo romano alle Terme di Diocleziano, il Giardino zoologico e lo Stadio nazionale al Flaminio. Si restaurò Castel Sant’Angelo fino ad allora rifugio di barboni, mentre in settembre si accendeva per la prima volta il Faro del Granicolo, offerto dagli italiani di Argentina. Si modernizzarono strade, si sistemarono parchi e si gettarono ponti sul Tevere, quali ponte Vittorio e ponte Risorgimento.

I festeggiamenti per il Cinquantenario divennero il battesimo di fuoco per il Sindacato cronisti al quale il Comitato promotore aveva affidato l’ufficio stampa che produsse, a dire della “Monografia”, centinaia e centinaia “di articoli freschi, originali e suggestivi”. Per rendere solenne l’evento si creò un intero quartiere di “cartapesta”, la Mostra etnografica sulla sponda destra del Tevere, nell’ex Piazza d’Armi, con una serie di padiglioni dedicati alle Regioni d’Italia. Nel cuore del villaggio, messo su in legno e stucco, sorse il Foro delle Regioni ad opera di Pio Piacentini e il Palazzo delle Feste con la maestria di Marcello Piacentini.

Forse perché fuori mano, non accese né entusiasmi né curiosità. Rinacque a nuova vita nell’estate di quell’anno grazie alle feste, alle manifestazioni e alle sfilate promosso dal Sindacato cronisti di Roma. Non appena la voce del lancio di un concorso di bellezza cominciò a correre tra i romani, la città pigra e bigotta si risvegliò dal letargo. Al di là delle intenzioni dei promotori, era stata trovata la chiave giusta per coinvolgere la popolazione nel clima dei festeggianti: il divertimento, l’allegria, il pettegolezzo. Da subito si scatenano le schiere dei pro e dei contro.

Romano Bartoloni

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