LA DIFESA DEL SEGRETO PROFESSIONALE

Il Parlamento, il governo, le istituzioni, il mondo della politica hanno un asso nella manica per testimoniare non soltanto a chiacchiere la loro indignazione contro l’ingiustificata e illegittima persecuzione giudiziaria nei confronti dei giornalisti allo scopo di obbligarli a tradire la coscienza professionale e a rivelare le fonti di informazione. Una continua intimidazione, ancor peggio dei tempi passati, e condotta con violenze da Stato di polizia: intercettazioni telefoniche, pesanti interrogatori, perquisizioni domiciliari, sequestro degli strumenti di lavoro, addebiti di reati con evidenti forzature dei codici. All’esame della Camera figura un provvedimento in difesa del segreto professionale che raccoglie lo spirito e la lettera di una proposta formulata dall’Unione nazionale cronisti italiani e dal Sindacato cronisti romani. Un proposta, che, se approvato tempestivamente da tutte le forze politiche (che oggi si dicono solidali con i giornalisti), costituirebbe una prima concreta misura a tutela del segreto contro tutti i pretesti per affossarlo. Si tratta di emendare l’art. 200 del Codice di procedura penale che, a differenza del trattamento riservato ai medici, agli avvocati e alle levatrici, riconosce con riserve mentali e giuridiche il segreto dei giornalisti e offre alibi alle campagne intimidatorie come quella condotta da anni dalla Procura della Repubblica di Roma.
La proposta è contenuta in ddl e in un emendamento a un provvedimento di disciplina della diffamazione a mezzo stampa ed è attualmente all’esame della commissione giustizia della Camera. Le relazioni esplicative sono il frutto delle indicazioni dei cronisti. Il segreto professionale dei giornalisti è riconosciuto dall’art. 2 della legge 69 del 1963 sull’Ordine e tutelato dalla raccomandazione n. 7 dell’8 marzo del 2000 emessa dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Il suo valore le sua forza sono dimezzati, se non addirittura, cancellati dall’art. 200 del Codice di procedura penale, nato con la riforma dello stesso Codice in aperta contraddizione con la legge, la giurisprudenza e le sentenze della Cassazione e della Corte costituzionale.
Peraltro, l’art. 200 del Cpp lo prevede ambiguamente nella forma, ma in pratica non lo rispetta, consegnandolo alla discrezione, e nei fatti all’arbitrio, del magistrato. Non da oggi gli effetti sono dirompenti per l’autonomia e la professionalità del giornalista. Viene penalizzato il diritto-dovere di cronaca e criminalizzato il cronista per obbligarlo a rivelare le fonti d’informazione (gli addebiti di reati vanno dalla “violazione del segreto istruttorio in concorso con pubblico ufficiale” alla “pubblicazione arbitraria di un atto relativo a procedimento penale”, come nei recenti casi delle croniste del Corriere della Sera e di Repubblica che hanno suscitato scalpore e una serie di interrogazioni parlamentari, perché bacchettate su atti di dominio pubblico.
Per riscattare il segreto professionale dei giornalisti e per restituire peso e valore a un essenziale requisito informativo ricreando parità di condizioni e di opportunità con le altre categorie professionali alle quali è garantito senza riserve mentali e giuridiche, diventa necessario un intervento risanatore con una misura che riveda, emendi e ridimensioni le caratteristiche e le garanzie del comma 3 dell’art. 200 del Cpp. Il nuovo 3 comma potrebbe così recitare ” le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti, praticanti e pubblicisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone delle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione”. Il resto del terzo comma, che affidava la validità del segreto professionale alla discrezione dei magistrati, è totalmente cancellato.
Una soluzione che sembra un po’ come quella dell’uovo di Colombo, eppure, se attuata, sgombererebbe il campo da pregiudizi e pretesti nei confronti della dignità del diritto-dovere di cronaca e consiglierebbe la magistratura a percorrere i propri territori nella caccia alle gole profonde.

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