IL SINDACATO CRONISTI ROMANI FESTEGGIA 110 ANNI DI STORIA

Il Sindacato dei cronisti romani festeggia 110 anni di storia. Venne infatti fondato il 5 agosto 1910 da una sessantina di giornalisti dei quotidiani, “Il Messaggero”, “La Tribuna”, “Il Popolo romano”, “Il Giornale d’Italia”, “L’Osservatore romano”, “ Corriere d’Italia” e “Idea nazionale”, che attorno a mezzogiorno si riunirono in assemblea costituente in via Due Macelli 12 in alcune stanze al pianterreno concesse da Costanzo Chauvet proprietario dell’omonimo palazzo e direttore de “Il Popolo romano”. L”evento fu annunciato il giorno prima da “Il Messaggero”. All’epoca furono proprio le notizie di cronaca e le cronache giudiziarie dei grandi processi (non vi erano infatti i patteggiamenti a sottrarli all’opinione pubblica) a decretare il successo dei giornali in una città come Roma capitale d’Italia e all’avanguardia nel numero dei quotidiani stampati. Tre in particolare furono i quotidiani di successo: “La Tribuna” con 60 mila copie, “Il Popolo romano” con 35 mila e “Il Messaggero” con 45 mila (quest’ultimo aveva inaugurato la pagina della “Cronaca di Roma” il 21 giugno 1910 – appena un mese e mezzo prima della nascita del Sindacato dei cronisti romani – con l’apertura dedicata a “Ancora sulla malaria” e con altri titoli significativi: “Gli impiegati e le elezioni amministrative”, “La festa degli ascolani” e “Il grave ferimento di via dell’Armata”).

Il Sindacato cronisti romani ebbe la sua prima sede nelle stanze del piano nobile di Palazzo Marignoli (imponente edificio quadrilatero di 22 mila 200 metri quadrati di particolare pregio, costruito tra il 1878 e il 1883 dall’architetto Salvatore Bianchi nel cuore della capitale a breve distanza da piazza Colonna tra via del Corso/via delle Convertite/piazza San Silvestro/Via di San Claudio per conto del marchese Filippo Marignoli, deputato e senatore). In questo grande immobile s’incrocia direttamente la storia del giornalismo italiano. Proprio a Palazzo Marignoli ebbero infatti sede il Circolo della Stampa e, a partire dagli anni del regime fascista, la Sala stampa italiana, struttura messa a disposizione dal ministero delle Poste e destinata ad ospitare generazioni di corrispondenti fino a pochi anni fa. I mutamenti della professione svolta tra quelle mura offrono un’interessante chiave di lettura sui radicali cambiamenti del mondo dell’informazione nel nostro Paese.

Sempre a Palazzo Marignoli si trovava il notissimo “Caffè Aragno”, fondato da un pasticciere di Torino venuto a Roma al seguito del re. Aveva il suo ingresso al civico 180 di via del Corso, angolo via delle Convertite 23 ed é stato uno dei più celebri ritrovi d’Italia: fu, infatti, considerato il centro della vita elegante romana a tal punto che era stato coniato il motto che “anche chi non ha veduto la Cappella Sistina ha veduto ed è stato all’Aragno”. Immortalato da Matilde Serao ne “’La conquista di Roma” del 1885, è stato anche ”cuore di Roma” secondo Emile Zola, nonché teatro del clamoroso schiaffo che portò al duello alla sciabola tra Massimo Bontempelli e Giuseppe Ungaretti nel 1926. Fu il luogo preferito dei nazionalisti e dei futuristi (ospite fisso proprio Filippo Tommaso Marinetti, fondatore di questo movimento considerato la prima avanguardia storica italiana del Novecento) e fu definito “nido irrequieto di giovinezza e sogni di gloria”. Dopo la 1^ guerra mondiale nelle sue sale si continuava a discutere e si creava ‘La Ronda’, rivista pubblicata tra il 1919 e il 1923. Vincenzo Cardarelli, una delle sue penne di spicco, ricordava che la Saletta dell’Aragno “non era un Caffè ma un foro, una basilica, un porto di mare dove, per entrarvi ci voleva del coraggio e una gran voglia di farsi avanti” e “vi si entrava sovversivi e se ne usciva conservatori arrabbiati e nazionalisti, dannunziani e colonialisti”. Si racconta anche che Oscar Wilde, in visita nella capitale, un giorno stava assaporando una granita al caffè quando passò il re in carrozza e commentò con la sua dissacrante ironia: “Io immediatamente mi sono alzato e gli ho rivolto un profondo inchino, col cappello in mano, ma fu solo dopo il passaggio del Re che ricordai di essere papista e nerissimo…”.

Lapide per ricordare gli 83 giornalisti Eroi della Grande GuerraNel 1928 fu murata sulla parete di via delle Convertite 23 a Roma e si trova ancora al suo posto una lapide di particolare importanza (è quindi rimasta appesa sulla facciata dello stabile da ben 92 anni) perché vi sono riportati i 24 nomi, con l’indicazione anche dei gradi militari, dei nazionalisti poi Caduti nel conflitto mondiale 1914-1918 tra i quali 15 giornalisti e cronisti, che, favorevoli all’intervento contro l’Austria, prima dell’inizio delle ostilità si incontravano periodicamente nella capitale nella “Saletta” del celebre “Caffé Aragno”. E ancora a Palazzo Marignoli tornò poi in vita la FNSI – Federazione Nazionale della Stampa Italiana, nata nel 1908 e sciolta nel 1925 per effetto delle leggi fasciste.

Il 24 maggio 1934 in occasione del diciannovesimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale Benito Mussolini inaugurò nell’atrio del Circolo della Stampa una lapide su cui erano riportati i nomi di 83 giornalisti Caduti combattendo nella Grande Guerra, molti dei quali decorati al valor militare (da una successiva complessa ricerca il numero dei giornalisti Caduti è poi triplicato toccando due anni fa quota 267). Lapide Dal raffronto delle due lapidi emergono inattese sorprese. La più rilevante è che la lapide del 1934 ha, stranamente, in gran parte ignorato l’esistenza della lapide del 1928 che si trovava esposta al pubblico proprio sul lato destro dello stesso edificio ad appena 50 metri di distanza! Sulla lapide inaugurata da Mussolini sono infatti riportati 10 dei 24 nomi di caduti che figuravano anche in quella del 1928 e precisamente: Giuliano Bonacci, Giosué Borsi, Alberto Caroncini, Luigi De Prosperi, Ignazio Ferro, Mario Fiorini, Vincenzo Picardi, Scipio Slataper, Ruggero Timeus Fauro (questi è, però, indicato solo come Ruggero Fauro nella lapide del 1934, ndr) e Spiro Xydias (e non Xidias). Tra questi vi erano tre irredenti triestini Scipio Slataper (che aveva Sandri come suo cognome da battaglia; si ricorda in proposito che i cognomi di battaglia con i quali l’esercito italiano arruolava i volontari irredenti erano fittizi proprio a loro tutela perché, sotto il profilo giuridico, erano sudditi dell’impero asburgico e se presi prigionieri rischiavano l’immediata fucilazione per diserzione. Solo il Sindaco del paese conosceva la loro vera identità), Ruggero Timeus Fauro (che aveva, appunto, Fauro come cognome da battaglia e anche d’arte) e Spiro Xydias. Viceversa sulla lapide del 1934 mancano 5 giornalisti indicati, invece, nell’epigrafe posta all’esterno del Caffè Aragno, e precisamente: i sardi Ernesto Butta e Giannetto Masala, l’irredento triestino Guido Corsi, il lombardo Arnaldo Cantù e il laziale Gino Laganà. Giannetto Masala era annoverato tra gli ospiti più tumultuosi della Terza “Saletta del Caffé Aragno” a Roma. I suoi amici nazionalisti del Caffé raccontarono che un giorno scomparve. Tornò qualche mese dopo lacero come uno zingaro. Veniva dalla Grecia dove aveva combattuto contro i turchi. Difatti, nell’inverno del 1912, in piena guerra balcanica, partì da Roma come volontario garibadino per seguire in Grecia Ricciotti Garibaldi. Dopo la sua morte al fronte della grande Guerra Clelia Garibaldi, figlia primogenita dell’Eroe dei Due Mondi, affrontò un lungo viaggio in carrozza da Caprera a Sorso per rendere omaggio alla madre, rimasta vedova. Un suo ritratto in bronzo del 1930 é conservato nella Biblioteca comunale di Sorso. Gli sono state intitolate strade a Sassari e a Sorso. A Tarvisio (Udine) vi é un rifugio intitolato alla memoria di Guido Corsi. Sorge in una bella posizione su un terrazzo erboso, al centro di un anfiteatro coronato dalle pareti meridionali del Jôf Fuart, Madri dei Camosci, Cima di Riofreddo. Per quanto riguarda Gino Laganà la sua giovane moglie, la 23enne Clelia Pojero, rimasta prematuramente vedova, cadde in una profonda depressione e non resistendo al dolore si avvelenò a Napoli appena 40 giorni dopo con una fialetta di sublimato.

Il 26 luglio 1943, a sole ventiquattr’ore dalla caduta di Mussolini sfiduciato dal Gran Consiglio, un gruppo di ventisette giornalisti si riunì al Circolo della stampa per deliberare, con atto formale, la ricostituzione del sindacato nazionale. Abolito dal fascismo il Sindacato cronisti romani si ricostituì il 27 gennaio 1946 con la passione e la voglia di rinascita che ha caratterizzato il periodo dell’immediato dopoguerra e sempre nella stessa sede, dove pochi mesi prima (14 ottobre 1945) gli editori aderenti all’Ansa avevano celebrato l’assemblea che sancì la dimensione unitaria e nazionale della numero 1 tra le agenzie di stampa italiane, nata al posto della storica “Stefani”. La cronaca riscatta la ribalta con il ritorno della libertà, ampliando i propri orizzonti specialmente con la fine della grande stagione della stampa politica in auge fra il 1945 e il 1947. Nonostante la dittatura delle immagini imposta dall’avvento della televisione, e nonostante la rivoluzione tecnologica senza uguali dall’epoca di Gutenberg, la cronaca conserva lo smalto di mestiere di punta del giornalismo, contribuendo, come nel caso di quella romana, alla crescita civile e democratica della comunità cittadina.

A Palazzo Marignoli, dunque, si riaffermarono i principi della riconquistata libertà di stampa e prese il via la riorganizzazione del giornalismo italiano. Negli anni successivi soltanto la Sala stampa restò nella sua sede d’origine. Fu in quegli uffici di pertinenza del ministero delle Poste che la volle Mussolini per dare una collocazione più prestigiosa alla cosiddetta “Sala d’aspetto per i corrispondenti”, situata fino ad allora in una diversa postazione di piazza San Silvestro. Da questa seconda fondazione il Sindacato Cronisti Romani ha operato ininterrottamente per rafforzare e sviluppare il rapporto tra Amministrazione pubblica, giornalisti e cittadini: con attività di carattere sociale, culturale e promozionale che hanno anche lo scopo di valorizzare l’immagine della Capitale in Italia e all’estero, poiché nelle iniziative sono sempre coinvolti anche i corrispondenti delle testate nazionali, l’A.S.P. I. – Associazione Stampa Periodica Italiana-, nata nel 1877, che poi sfociò nell’Associazione Stampa Romana, e l’Associazione della Stampa estera in Italia. Al Sindacato Cronisti Romani, che ha sede a Roma in piazza della Torretta 36 presso l’Associazione Stampa Romana, di cui fa parte come gruppo di specializzazione, sono iscritti più di un centinaio di giornalisti professionisti e pubblicisti che lavorano in tutte le aziende di informazione cittadina (carta stampata, agenzie di stampa e fotografiche, uffici stampa, testate online, emittenti radiotelevisive nazionali e locali).

Il Sindacato Cronisti Romani costituisce un’articolazione ufficiale dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, cui aderiscono circa un migliaio di giornalisti di tutta Italia. Di recente il Fondo archivistico del Sindacato Cronisti Romani, composto da 29 raccoglitori contenenti gli atti dell’attività del Sindacato a partire dal 1946 (anno di rifondazione) e comprendente gli atti della vita del Sindacato, degli organi direttivi, delle manifestazioni e dei numerosi convegni promossi nel corso degli anni è stato consegnato all’Archivio della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi” per essere messo a disposizione degli studiosi, una volta esaurita la fase di catalogazione. Ne fanno parte anche interessanti pubblicazioni, oggetto anche di apprezzate mostre fotografiche- come quella svoltasi al Museo di Roma in Trastevere tra il 2010 e il 2011 -, racchiusa nel volume “Un secolo di clic in cronaca di Roma 1910/2010. I cento anni del Sindacato cronisti romani” fortemente voluto dall’allora Presidente Romano Bartoloni con dedica ai fotoreporter, che rappresenta una carrellata su cento anni di cronaca romana, una testimonianza multimediale (foto, filmati/documentari audiovisivi) di grandi e piccoli eventi di vita vissuta, di imprevisti della quotidianità che hanno lasciato il segno, di riscoperta di delitti e di scandali che hanno fatto epoca, di ribalta di personaggi famosi di ieri e di oggi. Nell’esposizione furono proposte 130 immagini formato 30×40, con il contorno di cinegiornali, filmati d’epoca e un documentario delle Teche Rai che fecero riaffiorare ricordi d’altri tempi, rievocando fatti e fattacci che hanno caratterizzato la mutazione genetica della capitale, da città di dimensioni provinciali a metropoli europea. Tra i tanti fotoreporter vanno ricordati in particolare Adolfo Porry-Pastorel, ideatore del moderno fotogiornalismo e pioniere dei fotoreporter della scuola romana, cronista e giornalista de “Il Messaggero” (era il fratello di Amerigo, uno dei giornalisti caduti poi nella Grande Guerra), Rino Barillari (ribattezzato “The King” dei paparazzi, durante la “Dolce vita” e uno dei maggiori interpreti del fotogiornalismo di prima linea), Mario De Renzis (per più di 50 anni sempre in presa diretta con la vita pulsante della città), Pietro Ravagli (fotoreporter dal 1949 che ha sulle spalle un archivio di 800 mila immagini, dichiarate di interesse storico); Enrico Oliverio (per decenni fotografo principe della politica, del Quirinale e di Palazzo Chigi); Maurizio Riccardi (sulle orme del padre Carlo che rilanciò il fotogiornalismo alla fine della guerra dopo il black-out della parentesi fascista). Riteniamo, però, opportuno ricordare anche i fotoreporter Caduti svolgendo il loro mestiere, come Renato Ciofani, Paolo Cocco, Antonio Monteforte e Massimo Tramonte. La centenaria vicenda del Sindacato cronisti offrì anche lo spunto per la prima delle due pubblicazioni all’insegna di “Cento anni di Roma, cento anni di cronaca, cento anni di Sindacato cronisti romani”, una cavalcata secolare dentro la cronaca e le cronache giornalistiche e le attività del SCR. Il volume è dotato di un’appendice storica di documentazione. La seconda pubblicazione è un libro/documento sull’informazione oggi e sul come è cambiata “Guida all’universo comunicazione”: nuovi modelli di giornalisti, il boom dell’elettronica ecc. con l’inedita appendice di leggi, codici, norme, regole ecc.

Dieci anni fa sempre durante la mostra al Museo di Trastevere in cui furono organizzati convegni sull’informazione e visite guidate per le scuole, per quelle di giornalismo, per associazioni culturali e ricreative, furono proiettati documentari come “Fatti e misfatti – cent’anni di cronaca romana” realizzato dalla regista Silvana Palumbieri con materiale degli archivi di Rai Teche e di Cinecittà Luce; cinegiornali d’epoca e “Corti d’autore” dell’Archivio storico Luce, perle della memoria, quali “N.U. Nettezza Urbana (1948)” e “Roma ’90 (1989)” di Michelangelo Antonioni e “Buio in sala (1948)” di Dini Risi. La rassegna romana fu completata dalla ricostruzione di ambienti della cronaca di ieri e di oggi, da documenti degli archivi del Sindacato cronisti romani e da “prime pagine” di giornali messe a disposizione dalla FNSI. Infine, nella sala convegni, furono programmati convegni e incontri sui temi di Roma, della cronaca e del fotogiornalismo. La prima fu un confronto pubblico tra l’amministrazione capitolina, l’allora sindaco Gianni Alemanno e l’ex sindaco Clelio Darida, e tra Gigi Proietti e cronisti doc sul tema del “come eravamo ieri e come siamo oggi” attraverso la presentazione di due libri editi dal Sindacato Cronisti Romani e di un film/documentario curato dalla Teche Rai.

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