I PALAZZI DELLA CASTA

di Romano Bartoloni

Cambiano volti, fisionomie e destinazioni che hanno caratterizzato la vita e la storia del centro dall’avvento della capitale d’Italia ai nostri giorni. Da piazza Navona al Pantheon, da piazza della Minerva a piazza Colonna, dal Collegio Romano a Fontana di Trevi, da via della Mercede a piazza S. Silvestro, dal Corso al Tritone e su su verso via Barberini, il Palazzo della politica per eccellenza si allarga a macchia d’olio, snaturando la romanità dei rioni e costruendo giorno dopo giorno un universo a propria immagine e somiglianza. Ad una ad una cadono nelle braccia del potere le teste blasonate, il fior fiore dell’architettura e dell’urbanistica cittadina. Nel giro degli anni, hanno ceduto le armi, palazzi prestigiosi, conventi, perle di chiostri, alberghi, vecchie glorie di negozi. A furia di colpi grossi, comunque di colpi di mano, e del parallelo moltiplicarsi delle esigenze di sicurezza, il centro si trasforma nella città proibita dei mandarini, in una cittadella fortificata e presidiata, muta sotto le mire espansionistiche degli uffici del Governo, del Parlamento (in barba alle promesse di riduzione del numero dei parlamentari), dei ministeri (radicatisi contro natura e decentramento urbanistico). Le ramificazioni del Palazzo diventano testa di ponte per le ambizioni presenzialiste di partiti, banche, finanziarie, assicurazioni, lobby, e via via fino alle multinazionali del market e della ristorazione. Sotto la pioggia del denaro pubblico, con la partecipazione e l’omertà del Comune, per acquisti e restauri di così grande valore, non più bilanciato da un rapporto di giusti equilibri fra domanda ed offerta, il mercato del mattone è scoppiato come un bubbone. Il caro-affitti delle case e dei negozi, con la conseguente spirale sugli altri prezzi, riduce al lastrico o sfratta i pochi residenti sopravvissuti, ma, soprattutto, espelle artigiani e commercianti, cioè le botteghe storiche di interi rioni. Se la desertificazione del centro rafforza il dominio della classe padrona, si amplificano i disagi e il senso di emarginazione dei romani e dei loro ospiti, si mortifica l’economia turistica che pure gode di buona salute. Perché se il traffico delle auto è praticamente di esclusiva dei privilegiati delle auto blu e delle loro scorte, la circolazione dei pedoni è messa spesso a dura prova per ragioni di sicurezza del Palazzo. Quando si concentrano manifestazioni e cortei (Sindaci e Prefetti hanno fatto promesse di mercante di trasferirle al circo Massimo o altrove), diventano totalmente interdette le piazze del Parlamento, di palazzo Chigi e persino via del Plebiscito per l’ingombrante presenza del palazzo Grazioli di Berlusconi. Una volta ai giorni dell’occupazione nazista di Roma, fili spinati e cavalli di frisia sbarravano il passo nei posti chiavi in mano agli oppressori.

Oggi, con il pretesto del rischio terrorismo, si blinda “Il Palazzo – come ha scritto tempo fa il Corriere della Sera – con pali, paletti, colonnotti a scomparsa, con percorsi a slalom anche lungo le corsie pedonali”. Da palazzo Chigi al Campidoglio, dalla Camera al Senato, dal ministero della Difesa al Viminale, proliferano i “dissuasori mobili (questo è il termine tecnico)”, le barriere retrattili, i pilastri mobili. Dopo tanti decenni di pacifica convivenza democratica, le autorità cominciano a reclamare uno spazio fisico sempre più rilevante, creando di fatto una città nella città, diffondendo il cattivo odore del privilegio con lo sbarrare gli accessi ai comuni mortali. Ed ecco la mappa dei principali palazzi che si dividono Senato, Camera e Presidenza del Consiglio che contano 315 senatori, 630 deputati, il capo del Governo, 2 vicepresidenti del Consiglio, 8 ministri senza portafoglio, 11 sottosegretari. Senato: Madama, Giustiniani, Cenci, Sapienza, ex Beni Spagnoli, Minerva, Coppelle, Filippini, Chiavari, ex albergo Bologna. Camera: Montecitorio, dei Gruppi, della Missione, S. Macuto, ex conventi Valdina, Cecchini Lavaggi, ex Banco di Napoli, Thedoli Bianchelli, 5 palazzi del complesso Marini. Secondo i numeri forniti dalla stessa Camera, sono frequentati da 5mila persone al giorno fra deputati, giornalisti, dipendenti, visitatori e studenti. Presidenza del Consiglio: Chigi, ex Posta centrale1, ex Posta centrale2, galleria Colonna (ministeri senza portafoglio Rapporti col Parlamento, Pari opportunità, Politiche giovanili, Attuazione del programma) Vidoni e Capranica (dicastero della Funzione pubblica), della Stamperia (Affari regionali), Macchi di Cellere (Politiche per la famiglia s.p.), palazzo Nicosia (Politiche europee s.p.) più altri edifici fuori dallo stretto giro del centro come il Servizio civile in via S. Martino della Battaglia. I ministeri senza portafoglio, in realtà si tratta di Dipartimenti della Presidenza del Consiglio, sono di stretta pertinenza finanziaria dei bilanci del capo del Governo. La cittadella del Senato ricopre una vasta area del cuore della Roma turistica. E’ attraversata dall’asse viario più trafficato dall’andirivieni di file e file di comitive di genti di ogni età, razza e Nazione che si incolonnano da Fontana di Trevi, per piazza di Pietra, il Pantheon fino in piazza Navona. Occupa le piazze attigue, S. Luigi de’ francesi, S. Eustachio, dei Caprettari, con diramazione a S. Chiara e in piazza della Minerva. Via della Dogana Vecchia, che le collega, è presidiata dai gabbiotti dei carabinieri ed è praticamente tabù con le barriere mobili. A nulla sono valse le proteste dei residenti e la mutazione genetica del rione si è completata con la scomparsa di quasi tutte le botteghe artigiane e con i bivacchi degli ausiliari dei senatori: autisti, “bravi”, scorte, bodyguard, guarda spalle ecc. attorno ai caffè, un tempo meta preferita del tempo libero dei romani. Il variopinto mondo gravita intorno a palazzo Madama, sede dalla Camera alta fin dalla proclamazione di Roma capitale, e che prende il nome dal 1537 da Margherita d’Austria figlia di Carlo V, e detta appunto “La Madama”. Accoglie da sempre l’Aula, nonché la presidenza e alcuni gruppi senatoriali. E’ unita da un portico a due piani a palazzo Carpegna (XVII secolo) che ospitava gli istituti universitari prima della demolizione e ricostruzione nel 1935 per lasciar spazio al nuovo corso Rinascimento. Vi si riuniscono le commissione senatoriali. Di fronte alla “Madama”, in via della Dogana Vecchia, si affaccia palazzo Giustiniani (fine del ‘500), diventato “insula giustinianea” per l’accorpamento di più edifici a ridosso del Pantheon. Vi si trovano l’appartamento di rappresentanza del presidente Marini, gli studi dei senatori a vita e l’archivio storico. In piazza S. Eustachio, con il portone accanto al più famoso dei bar, svetta il palazzo Cenci (o Stati-Cenci-Maccarani-di Brazzà), opera dell’architetto Giulio Romano e con affreschi di scuola raffaellesca. E’ a disposizione dei senatori e delle loro segreterie, della commissione politiche europee e degli uffici postali interni. Fra S. Eustachio e corso Rinascimento domina il palazzo della Sapienza, l’antico “Studium Urbis” fondato da Bonifacio VIII nel 1303, con chiesa di S. Ivo capolavoro barocco del Borromini, e oggi spartito fra l’archivio di Stato, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. Davanti alla chiesa di S. Luigi de’ francesi, con due fra gli immortali capolavori del Caravaggio, sulle rovine di antiche terme neroniane-alessandrine incede il palazzo cosiddetto ex Beni spagnoli con studi senatoriali che aspirano ad allargarsi al vicino palazzo Patrizi, ormai un solitario in territorio “extraterritoriale”. Oltre palazzo Madama risalendo corso Rinascimento verso il Tevere, uffici dei senatori e la tipografia del Senato occupano il palazzo di piazza delle Cinque Lune con affaccio su piazza Navona, per mezzo secolo sede del giornale “Il Popolo”.

Al di là del Pantheon, le bandierine dei senatori sventolano sul palazzo della Minerva nell’omonima piazza con l’elefantino di marmo disegnato dal Bernini, il pulcin della Minerva. Il palazzo miscela assieme opere d’arte del passato e una sala conferenze con modernissima copertura in plexiglass e acciaio. Fra l’altro, accoglie la biblioteca intestata al nome di Spadolini. Nei dintorni, figurano ancora nel patrimonio Senato il palazzo di piazza delle Coppelle con centro informativo su via della Maddalena. Altre occupazioni senatoriali nel palazzo dei Filippini (un circolo, l’ispettorato di polizia e servizi dei carabinieri) all’angolo fra via del Governo Vecchio e via della Chiesa Nuova, in quello di largo dei Chiavari (foresterie) e in quello dell’ex albergo Bologna in via di S. Chiara (sale conferenze). Come palazzo Madama, anche palazzo Montecitorio ospita un ramo del Parlamento, la Camera, dai giorni del trasferimento della capitale a Roma. E’ opera del tardo Seicento, sorgerebbe sui luoghi dei comizi elettorali dei romani, e ci spesero il loro ingegno Bernini e Carlo Fontana. Un corridoio pensile su via della Missione, permette ai deputati di accedere rapidamente al palazzo dei Gruppi di via degli Uffici del Vicario. Gli altri tetti dei deputati, di maggior valore, sono costituiti dal palazzo di S. Macuto o del Seminario e dalla cosiddetta “città politica”, come si enfatizza nel web camera.it, di vicolo Valdina. Inserito nel complesso monumentale della Minerva e ricostruito nella seconda metà del ‘500 su una zona conventuale, palazzo S. Macuto accentra le commissioni bicamerali e la biblioteca che, finalmente dopo anni di assurda divisione pur essendo muro a muro, è collegata a quella del Senato di piazza della Minerva, formando dal febbraio di quest’anno il polo bibliotecario bicamerale. Frequentatissimo è il ristorante panoramico al coperto in funzione nelle terrazze. Il complesso monumentale/conventuale di vicolo Valdina presso piazza Firenze affonda le radici millenarie nell’epoca paleocristiana. E’ costituito da un ex convento di benedettine e dalla chiesa di S. Gregorio Nazianzeno. Conserva affreschi di scuola bizantina e offre alla vista degli eletti frequentatori un delizioso chiostro del ‘500. Come “città politica” è aperta a convegni e seminari, nonchè ad iniziative culturali. Altri uffici della Camera sono sistemati in via Uffici del Vicario, come quelli dei Gruppi, sia all’angolo di via della Maddalena nel palazzo Cecchini Lavaggi Guglielmi, dagli splendidi soffitti ottocenteschi a grottesche, e sia nel palazzo della Missione all’angolo della via omonima. E’ piazza del Parlamento che ha subito la più radicale trasformazione degli ultimi tempi con la scomparsa di banche e di giornali. Il palazzo detto del “Banco di Napoli”, compreso fra via del Giardino Theodoli, via del Parlamento e via del Corso, è sede degli uffici amministrativi della Camera e presenta ancora nell’ampio salone centrale gli originali sportelli bancari. Gadget con le insegne CD della Camera dei deputati (da arredi da scrittoio a t-shirt) si vendono a prezzi astronomici nel Centro di informazione parlamentare al piano terra del palazzo Theodoli-Bianchelli situato fra via dell’Impresa, via del Parlamento e via del Corso, anni addietro tenuto dalla redazione romana del Corriere della Sera. Fra piazza S. Silvestro, via del Tritone e via Poli, si sviluppa il tanto chiacchierato complesso dei palazzi Marini, che accolgono uffici dei deputati e dei loro staff, una sala conferenze e strutture per la ristorazione. Della sua locazione se ne parla come di “un capolavoro finanziario” nel capitolo “Un palazzo di 46 palazzi – spese impazzite nell’infinita moltiplicazione delle sedi” del libro più venduto d’Italia, “La casta” di Sergio Rizzo e di Gian Antonio Stella. Libro che ha indignato gli italiani e scoperto gli altarini di un re nudo, dissipatore e arrogante, il quale, preso con le mani nel sacco, piange lacrime di coccodrillo e promette di tirare la cinghia in un lontano futuro. Scrivono gli autori senza peli sulla lingua: “Al costruttore romano Sergio Scarpellini, che ricambia con affettuosi finanziamenti ai partiti senza fare lo schizzinoso sul loro colore, i parlamentari hanno fatto fare un affare fantastico.

Scelti quattro palazzi nel cuore della capitale ( in realtà 5 ndr), il cosiddetto complesso Marini, invece di comprarli direttamente hanno deciso di entrarci come inquilini. Garantendo un affitto così alto, per 9 anni più altri 9, da permettere al nostro di pagare comodamente, senza affanni, le rate dei mutui accesi per acquistare gli edifici in questione. Uno sposalizio alla fine del quale la Camera si ritroverà ad aver pagato complessivamente in 18 anni, al valore della moneta attuale, per la sola locazione, la bellezza di 444 milioni e mezzo di euro senza essere diventata proprietaria di un solo mattone. E il fortunato locatore, estinto il mutuo, si ritroverà padrone dell’intero complesso”. E per di più i lavori di ristrutturazione di 2 dei 5 palazzi sono stati pagati con un sostanzioso contributo di quasi due milioni di euro da parte del Comune di Roma verso il quale, peraltro, denunciano i due giornalisti del Corriere della Sera, il costruttore era debitore di 328.803 euro di Ici. Dei 5 edifici 4 sono accorpati insieme e guardano sul quadrilatero piazza S. Claudio, via del Tritone (sopra la farmacia), via Poli, via del Pozzetto con ingressi controllati da varchi elettronici uno per lato. Il quinto presenta la sua facciata principale su piazza San Silvestro e si estende fra via della Mercede e via del Pozzetto, dove si apre l’unico accesso per ragioni di sicurezza. Fra i più giovani del rione Colonna, il palazzo è stato costruito nel 1956 su progetto dell’architetto Clemente Busiri Vici per conto della società Acqua Pia Marcia, che un tempo aveva l’esclusiva della distribuzione dell’acqua a Roma; sul frontespizio un’iscrizione in latino inneggia alla salubrità delle acque sorgive romane. Se le Camere si sono spartite le fette migliori della torta del centro storico romano, i Governi, sempre più elefantiaci (oltre 100 tra ministri, viceministri e sottosegretari di Prodi con le loro corti di segreterie, consulenti, scorte, autisti ecc.), hanno fatto la parte del leone in questi ultimi anni, ingoiando milioni di metri cubi che formano un vero e proprio arcipelago di palazzi. All’alba della Repubblica, nel 1947, la Presidenza del Consiglio non aveva nemmeno un proprio tetto, divideva il Viminale con gli Interni, mentre gli Esteri risiedevano a palazzo Chigi. Il palazzo, attribuito con qualche dubbio al Maderno e a Giacomo Della Porta, ha raggiunto le attuali immense dimensioni nel corso di 5 secoli incorporando decine di caseggiati. Poiché sotto le insegne della Presidenza figurano, come accennato, gli 8 ministeri senza portafoglio, “La Casta” ha contato 15 palazzi nel centro più un deposito a Ciampino, più l’autoparco al Portuense dove parcheggiano 115 autoblu. Il dicastero della Funzione pubblica del ministro Luigi Nicolais, nonostante sia stato ribattezzato della Riforma della pubblica amministrazione, è il primo dei ministeri di seconda categoria a dare il cattivo esempio: si è preso non solo il palazzo Vidoni su corso Vittorio Emanuele vicino a piazza Argentina, ma anche il prestigioso palazzo Capranica nella vicina piazza di S. Andrea della Valle. Piazza Colonna e la galleria “Colonna/Alberto Sordi” hanno rappresentato per decenni il “salotto buono” dei romani, dove si radunavano per ascoltare e commentare le ultime notizie annunciate dagli strilloni dei giornali della sera o dagli altoparlanti di palazzo Wedekind, sede de “Il Tempo” e che oggi fa gola al Governo con la sua insaziabile fame di alloggi. Se non ci fosse l’attrattiva della colonna di Marc’Aurelio a rendere meno rigida la disciplina ai varchi, la piazza, già oggi limitata negli accessi da colonnotti e catene, sarebbe da un pezzo definitivamente tabù al passaggio e alla sosta.

Il palazzo della galleria Colonna, costruito per la Banca italiana di sconto nel 1914, è costato all’erario quasi una 50ina di milioni fra acquisto e restauri. Chi frequenta il centro commerciale della galleria, non si rende conto che sopra la propria testa si agita un grande alveare di uffici. Oltre i quattro dicasteri senza portafoglio, o dipartimenti nel linguaggio governativo dei ministri Barbara Pollastrini, Vannino Chiti, Giovanna Melandri e Giulio Santagata, vi è il servizio per l’adozione internazionale. Secondo l’inchiesta di Rizzo e Stella che hanno frugato fra le pieghe dei bilanci, fra acquisto e restauri la nuova destinazione della Galleria è costata oltre 40 milioni di euro. La spesa complessiva sale a 156 milioni di euro con i due più grossi colpi di mano della storia moderna del centro storico: i maxi-palazzi ex della Posta centrale che si affacciano su via della Mercede fra piazza S. Silvestro, dove si è salvato l’edificio principale, via del Moretto e via Mario dei Fiori, e dietro su via della Vite. A leggere le targhe ai portoni, dove il passaggio è vietato ai non addetti ai lavori, entrambi sono occupati dal Segretariato generale della Presidenza del Consiglio i cui compiti devono essere davvero immani e strategici considerando la mole degli spazi conquistati. Per averne un’idea delle dimensioni, il primo palazzo, quello davanti alla sala Umberto, è sorto, come quasi tutti gli altri, sulla trasformazione di un convento, qui quello di S. Silvestro, e aveva ospitato nel tempo l’intero ministero dei Lavori pubblici. L’altro, accanto, è stato costruito nel 1888 sulle macerie del monastero dei Riformisti della Mercede e della chiesa di S. Giovanni in capite. Grande quanto la sede principale di piazza Colonna, era stato destinato dapprima a colmare un’annosa lacuna romana, il palazzo della Stampa, lustri addietro interpretato dal vicino palazzo Marignoli di piazza San Silvestro. Diversamente dalle altre metropoli europee e dalle principali città italiane, Roma, culla d’arte e di cultura, non offre a giornalisti, comunicatori e studiosi né un centro multimediale, né un’emeroteca centrale digitalizzata, né una sala stampa degna della capitale d’Italia, né un circolo della stampa ecc. Il Governo lo aveva promesso in condominio con la Stampa estera, quando era stata sfrattata da via della Mercede, e alle organizzazioni istituzionali e sindacali dei giornalisti italiani. Sembrava fatta, quando è arrivato il ripensamento senza una parola di giustificazione. Gli altri palazzi della Presidenza sono: Macchi di Cellere del XVIII secolo in piazza Montecitorio 115 accanto alla banca (in coabitazione fra le Politiche della famiglia del ministro Rosi Bindi e il Garante per privacy, ingresso da piazza Montecitorio accanto al Capranichetta). Il Palazzo della Stamperia del XVI secolo, abitato dal dipartimento degli Affari regionali del ministro Linda Lanzillotta, con finestre sia su via del Tritone sia, verso Fontana di Trevi, accanto al palazzo della Calcografia dove si conservano le lastre di stampe di ogni epoca. Infine, le Politiche europee della ministro Emma Bonino sono situate nel palazzo Nicosia sulla piazza omonima, ricostruito in stile littorio nel 1936 dall’architetto Marcello Piacentini e tristemente noto per l’attacco br del 1979 alla DC e che costò la vita a due agenti di Ps, Antonio Mea e Pietro Olanu. Altri colpi grossi in pieno centro si preparerebbero nel silenzio dei “segreti di Stato”.

Sono in pericolo di cambio destinazione la Rinascente in piazza del Tritone/via del Corso e il palazzo Wedekind, la storica redazione del giornale Il Tempo. Mentre si registra un’unica marcia indietro, perché l’assurdità dell’impresa è stata smascherata dai giornali. Si era progettato di costruire un tunnel fra il palazzo Theodoli, il centro informazioni/gadget della Camera, e Montecitorio distante cinque passi. I conti in tasca li fa ancora una volta “La Casta”: stanziamento previsto di 5milioni e 220mila euro, un milione di euro a passo, quasi il triplo di quanto costò a metro quadro l’euro-tunnel sotto la Manica. Il Palazzo della casta è cresciuto e continua a crescere a dispetto e contro i piani regolatori di Roma. Più volte, i governi si erano impegnati a parole a rispettare le regole urbanistiche e a realizzare altri centri direzionali, come l’Eur, per la dislocazione dei dicasteri-chiave. L’Esposizione universale romana (Eur) era stata realizzata dagli urbanisti d’epoca fascista oltre i confini della Garbatella, la periferia d’allora. Una soluzione che suggerì al sindaco Rebecchini, nel 1954, l’idea di fondare una “città degli uffici” all’esterno della cerchia urbana. Il piano regolatore di Luigi Piccinato (1962) scelse il quadrante est, la zona compresa fra Tiburtina, Pietralata, Casilino e Centocelle per realizzare il centro direzionale orientale (Sdo). Lo scopo principale era quello di liberare il centro di Roma dal peso di tanti ministeri, ma anche di spingere fuori porta il maggiore numero di uffici pubblici con le loro centinaia di migliaia di impiegati, fra l’altro una delle cause finora inamovibili della morsa del traffico nel cuore della capitale. Ha scritto autorevolmente l’editorialista Giuseppe Pullara sulla cronaca del Corriere della Sera: “Di solito la pianificazione urbanistica, frutto di oscuri uffici municipali ma anche di menti illuminate, è stata combattuta dagli abusivi: in questo caso, sono le massime istituzioni ad andare controcorrente.

Applicando una logica del tutto contraria allo svuotamento del centro storico dai “pesi” istituzionali, Camera, Senato e palazzo Chigi diffondono i loro uffici a macchia d’olio nella parte più pregiata della capitale”. E concludeva desolato: “Anno dopo anno, il centro è stata svuotato non da speculatori immobiliari ma da rappresentanti dello Stato”. Purtroppo, sorprende che valorosi urbanisti e cultori di cose romane che conoscono vita, morte e miracoli di ogni pietra della città, non battano ciglio di fronte alla sistematica, progressiva occupazione del centro storico da parte del Palazzo. Ci si augura che il “basta!” lanciato da “La Casta” e l’eco destata nell’opinione con il successo di oltre un milione di copie vendute del libro non solo inchiodino il mondo della politica alle loro responsabilità, ma rompano il muro dei silenzi e delle omertà degli intellettuali, e suscitino finalmente l’indignazione e la levata di scudi delle forze più sensibili del Paese.

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