Diritto di cronaca, quando a rischiare per difenderlo sono i precari

di Luciana Borsatti

“Se parliamo dei nemici dei diritto di cronaca non posso non dire dell’uso intimidatorio della giustizia tramite le querele temerarie, del lavoro sottopagato e  del lavoro precario. Dobbiamo rimettere mano anche alla definizione dei contratti, non devono più esistere i co.co.co rinnovati per anni,  i giornalisti che figurano come programmisti registi e consulenti, e una diseguaglianza sociale tra chi è iper-garantito e chi sta per strada, che non ha niente, e fatica ad arrivare a fine mese”.  Amalia De Simone, video reporter di inchiesta di Corriere.it che lavora da anni sulla criminalità organizzata in Italia e all’estero (là dove le mafie stanno ora facendo i maggiori investimenti), sintetizza così il suo intervento all’evento formativo sul diritto di cronaca intitolato a Guido Columba – il  seminario svoltosi  il 29 marzo a Roma su iniziativa di Ordine del Lazio, Fnsi e Unci, primo di una serie che si propone di declinare al presente le decennali battaglie del collega scomparso il 13 ottobre scorso, dopo 22 anni alla presidenza dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani.

https://www.articolo21.org/2019/03/le-battaglie-di-oggi-per-il-dovere-di-informare-giulietti-i-tagli-sono-arrivati-la-legge-contro-i-bavagli-no-2/

Amalia De Simone collabora con Rai e Reuters, ha lavorato per la Rai, è Cavaliere al Merito della Repubblica per le sue indagini giornalistiche, ha vinto molti premi ma resta una precaria. E il suo attuale contratto di collaborazione con il Corriere – che nel 2016 l’aveva inserita tra le 100 donne dell’anno – le scade fra un mese. Eppure conta quasi 30 anni di “mestiere per strada”,  cosa che “costa fatica, comporta dei rischi”. Tanto più se si continua a occuparsi di mafie anche quando la parola sembra “uscita dall’agenda dei giornali”.  Anche se il suo giornale ne valorizza le inchieste e la sostiene quando le arriva l’ennesima querela temeraria.

Perché è appunto questo, uno dei principali ostacoli che limitano il diritto di cronaca. Non  la querela di chi ricorre al tribunale ritenendosi diffamato e ottiene una condanna – ma sono solo 8 casi su 100, come precisa Alberto Spampinato di Ossigeno per l’Informazione, secondo il quale su circa 6.000 querele all’anno oltre il 90% si rivela infondato  – ma quelle fatte proprio per intimidire i giornalisti, per tenerli lontani dai temi sgraditi ai politici e alle organizzazioni criminali. Il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, si è appena soffermato sul ddl presentato in Senato da Primo De Nicola, e che prevede, nel caso la causa civile si riveli infondata, la possibilità di un risarcimento al giornalista di non meno il 50% della somma richiesta. Un ddl che affronta la materia in modo ancora parziale ma ugualmente da sostenere, secondo Verna, come un primo passo nella giusta direzione.  Ma Amalia De Simone è fra coloro che guardano con scetticismo alla possibilità che il Parlamento approvi finalmente una legge che spunti un’arma come le querele temerarie, particolarmente utile per la classe politica.  “Non c’è la volontà politica di eliminarle – sostiene  – perché sono un’arma contro i giornalisti ed è la forma di intimidazione più forte. Quella a viso aperto che ha subito Daniele è più chiara”,  dice del collega Piervincenzi che le siede accanto, e che nel novembre 2017, a Ostia, si era beccato una testata di Roberto Spada durante un’intervista per Nemo . Invece  le querele  “sono subdole, ti tengono per anni ancorato ad un procedimento, e quando sei un precario – cioè senza tutele da parte del tuo editore – è ancora più complicato”.  Eppure quelli che in Italia si occupano di mafie, sottolinea, “sono appunto prevalentemente i giornalisti precari , quelli che portano le notizie sono i cronisti precari”, e pagati 10-20 euro a pezzo.  E se arrivano le querele devono cavarsela da soli. “Comunque vada ti devi pagare l’avvocato, anche se il caso viene archiviato. E  ti fanno partire anche la causa civile”.  Ma le querele temerarie hanno anche un altro obiettivo, aggiunge, quello di metterti in cattiva luce, di screditarti davanti alle fonti.

Per quanto difficile sia, però, sulla questione delle querele “dobbiamo davvero fare battaglia, perché si tratta di un uso intimidatorio della giustizia”. Così come si deve affrontare il nodo dei contratti, per superare il precariato permanente, e quello delle risorse che servono a fare un buon giornalismo, come nel caso del New York Times sul crollo del Ponte Morandi a Genova.  “Non abbiamo forse giornalisti competenti?  Certo che ce li abbiamo – conclude Amalia De Simone –  ma non abbiamo gli editori che ci mettano a disposizione i mezzi e le risorse” per le vere inchieste.

Daniele Piervincenzi, giornalisti aggrediti sintomo di imbarbarimento nel Paese

Ma nemmeno il servizio pubblico televisivo brilla, se è vero che anche per Piervincenzi, precario con la qualifica di conduttore tv ma assurto al ruolo nominale  di “giornalista Rai” dopo la testata di Spada,  il contratto scade fra un mese. “Quando è avvenuta l’aggressione di Ostia siamo stati trasformati in due giornalisti Rai – racconta di sé e dell’operatore Edoardo Anselmi – ma non lo eravamo. E questo non ha cambiato il nostro contratto”.  Ma da quella aggressione nasce un’altra riflessione.  Diversamente dal passato, ora “chi fa una domanda è percepito come una minaccia, e se non è un poliziotto ma un giornalista lo si può affrontare”. Il sintomo di un imbarbarimento nel Paese,  non solo in certi quartieri  dove “la violenza è più facile” e l’impoverimento ha reso i ragazzi della malavita ormai degli analfabeti.

Tanto più dunque, alla luce di questo imbarbarimento culturale, il diritto di cronaca si traduce anche in dovere di informare. Proprio la materia trattata nel seminario anche dal presidente dell’Fnsi Beppe Giulietti, dalla presidente dell’Ordine del Lazio Paola Spadari con il responsabile per la formazione Carlo Picozza, dal direttore dell’Ansa Luigi Contu, dal presidente dell’Unci Alessandro Galimberti, dal rappresentante dei Cronisti romani Romano Bartoloni e infine da Enzo Quaratino, già capo cronista Ansa, che ha fatto il punto sul quadro normativo.  

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