La coscienza dell’Inpgi (di Giacomo Carioti)

Il sito ufficiale dell’INPGI lancia in questi giorni, con orgoglioso clamore, la notizia di avere accertato, attraverso le ispezioni di pertinenza di questo istituto, l’evasione di € 2,7 milioni nel primo semestre del 2021.

Questa notizia lascia la bocca amara, perché giunge in un momento in cui l’INPGI tenta disperatamente di raschiare il proprio barile, per evitare il commissariamento o la ancor più paventata annessione all’INPS.

Come non ricordare però, quando la sicumera dei tempi illusoriamente floridi permetteva ampia discrezionalità rispetto a quella che oggi -sottolineando l’inflessibilità ispettiva in difesa dei propri introiti- viene definita “piena operatività nonostante le misure emergenziali”…

Servirebbe a qualcosa riportare alla mente i decenni di tolleranza nei confronti della Rai, al cospetto di quel plateale e a tutti noto gravissimo scenario di inadempienza – peraltro sottaciuto ad ogni livello ordinistico e sindacale, e a tutt’oggi protetto in un cono d’ombra – d’improvviso ideologicamente trasformato in “normalizzazione”?

E servirebbe ancora di più ricordare (proprio oggi che l’INPGI ostenta il dato di aver effettuato ispezioni, oltre che presso network e quotidiani, presso 2 aziende online, 11 uffici stampa privati, 4 pubbliche amministrazioni, 2 altre aziende), le mortificanti omissioni di fronte a situazioni macroscopiche (…quelle stesse che oggi, con improbabile inventiva, vengono illusoriamente annoverate come portatrici di un esercito di nuovi contributori…) all’interno di altre aziende, diciamo molto sensibili, e forse meritevoli di attenzioni particolari: situazioni potenzialmente debitorie che, pur se non avrebbero di colpo risanato i conti dell’Istituto, lo avrebbero senz’altro aiutato, negli anni, a non precipitare nel tracollo.

Senza considerare che a volte certe omissioni possono avallare e addirittura favorire il verificarsi di gravi ingiustizie professionali.

Chi scrive è testimone diretto di quanto sopra.

Oltre la propria storia professionale, ha visto ignorare, con sofferenza, quella di una decina di suoi collaboratori, giornalisti, redattori e videomaker.

Per questo, non solo non mi sento oggi di gioire per la rinnovata energia ispettiva, né di piangere per le sorti di un istituto che nella sua coscienza e nella sua storia può anche avere qualche zona d’ombra, e che, oggettivamente (…non certo solo per caso personale, ci mancherebbe), non parrebbe meritevole di sostegno o di solidarietà.

Ma la contraddizione si insinua nelle persone per bene: per questo a volte, anche chi ahimè non lo merita ottiene l’appoggio di chi, per amore della patria giornalistica, costringe sé stesso a dimenticare.

di Giacomo Carioti

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